mercoledì 16 giugno 2010

L'Amor che move il sole e l'altre stelle

A volte succede che la realtà superi ogni speranza, aspettativa, previsione.
A volte succede che tutta la sofferenza se ne vada per lasciar spazio ad avvenimenti positivi.
A volte succede di sentirsi talmente felici da non riuscire a distinguere i contorni del sentimento.
La vendemmia delle emozioni coltivate nella pazienza e nel silenzio.
La tigre ha ruggito. Una vittoria di squadra, una vittoria di Amici. Poteva esserci qualsiasi altro sport a legarci, non avrebbe cambiato di una virgola la forza del nostro faticare insieme, del nostro vestire la stessa maglia, del dividere gli sforzi dell'impresa.
Fin da quando ho iniziato a pedalare ho immaginato qualcosa che sapevo perfettamente non sarebbe mai avvenuto. Vincere.
Vincere non per me, ma per chi mi sta vicino, le persone per le quali pedalo e dalle quali trovo la forza per farlo. Per il nonno Gino, a cui dedicavo un minuto in ogni sessione di rulli davanti al muro, nelle albe d'inverno. Per Ivan, capitano e condottiero, amico che sa guidare e consigliare. Per Fabrizio, il mio angelo custode.
Per Cristiano che mi ha portato ad amare la bicicletta, e che ora ha traguardi molto piu importanti davanti. Per Marco che mi ha messo in strada e mi ha accompagnato nelle prime pedalate.
Per la famiglia, alla quale si deve tutto.
Vincere per regalare e condividere una gioia. Vincere per rendere partecipi gli altri di un successo.
Succede a volte che si sogni di dividere un momento insieme ad un idolo. Io ne ho avuto solo e sempre uno, l'unico sportivo per il quale ho ammirazione vera, ultimo testimone del ciclismo romantico. Succede che a un ora dalla fine della 24 ore ci si trovi a pedalare a fianco di Gilberto Simoni.
Succede che tutto sia pronto perche Ivan chiuda in modo glorioso la manifestazione che ha organizzato con la passione che solo lui sa mettere, ma che la giuria decida di bloccare i cambi e la sorte voglia che sia io a dover dare le ultime pennellate al quadro. Succede che a 50 all'ora si senta solo il proprio nome urlato da chi è li per vederti e spingerti. Succede che nonostante una fatica tremenda si senta un motore che non si fermerebbe mai, alimentato da una benzina che si chiama Amore.
Succede che nella testa rimbombi la traccia di Fab-Ivan09, i 3min e 42sec piu intensi del 2009.
Succede, per la prima volta nella vita, di avere addosso gli occhi di chi mi è splendidamente di fianco, che mi guardano vestito da libertà. Succede che io non capisca se devo ridere, piangere dalla felicità, respirare, urlare, o semplicemente continuare a pedalare con tutto ciò che ho e per tutto ciò che ho.
E gli ultimi due giri, 5 minuti senza il tempo di far entrare e uscire ossigeno, immaginando una gioia sportiva mai provata.
E le faccie piene di sorrisi di chi è stato parte della festa.
E la tigre sulle spalle, le fotografie tutte per noi, il palco, la Squadra.

Tutto è cominciato il 21 giugno 2009, sul traguardo di Piazza Maggiore.
Da lì i tasselli hanno iniziato a incastrarsi, il disegno iniziava a prendere colore. Nessun incontro, nessun chilometro percorso, nessuna decisione sono stati casuali.
Il partire è stato come allontanarsi da un quadro troppo grande per riuscire a vederlo e a comprenderlo da vicino. Salutare è stato difficile, difficilissimo, ben sapendo ciò che si avrebbe lasciato.
Chi c'era il 12 settembre all'osteria senz'oste sarà sempre con me.
Massi, grazie.
Vedere il nostro video e non riuscire a trattenere le lacrime, anche a due mesi dalla cena e dalla terrina di pomodori da finire (viva i pitussi).
Ritornare a Natale, rivedervi e sapere di dover ripartire per i mesi piu freddi e piu bianchi, non per la neve ma perche senza colore.
Ritrovare due grandi Amici a Stoccolma e capire che è tutto sbagliato e tutto da rifare.
E infine, la luce, la stella. La mia Stella.
Sopra Feltre ce n'erano tante sabato sera.
La mia aveva una macchinetta fotografica in mano. E la mia velocità sfuggente era la voglia di reincrociare il suo sguardo il prima possibile ad ogni passaggio.
Il nonno, Ivan e Massi, Fabrizio e Paola, Cristiano, Marco, mamma e papà, Arianna, gli Amici di Stoccolma.
Ma il disegno ha la cornice solo se ci sei tu.
E la gioia è gioia vera solo se ci sei tu.

Il Progetto Estone finisce qui.
Come ogni cosa, nasce, guarda con curiosità al mondo, patisce, fiorisce a primavera.
Progetto Estone nasce un anno fa, quando la mia mano e quella di Ivan concludevano insieme l'impresa che rimarrà per me l'impresa della vita, con il significato piu vero e profondo.
Progetto Estone nasce dalla voglia di guardare quel quadro da un po piu lontano.
Progetto Estone è la storia di una partenza e di una ricerca.
Progetto Estone è stato un seme gettato nella terra, dal quale è nato il fiore più colorato e profumato.
Come per la 24 ore, cosi per il Mio Fiore, la realtà è andata oltre ad ogni piu rosea speranza.
Oggi, un anno dopo, sono felice. Ho un Progetto non Estone, ho obiettivi tutti rivolti ad un unico traguardo.
Io, in Estonia, rimango. Non so ancora per quanto, ma rimango.
Il mio lavoro, oggi, è qui.
Dopo mesi di difficolta e di ambientamento, ora mi sento piu a mio agio ed è questo il momento di raccogliere i frutti.
Di certo Fabio tornerà a casa. Ora sa qual'è il disegno del quadro;
una luce, fortissima, lo illumina.

« ma già volgeva il mio disìo e il velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
l'Amor che move il sole e l'altre stelle. »

mercoledì 12 maggio 2010

"Buona strada", le parole del ciclista francese

"Dopo essersi infilato la mantellina ed aver assaporato l'ultimo pezzetto di crostata al cioccolato ripartì con le parole del ciclista francese che gli martellavano nella testa.
Come sempre, ad ogni vetta raggiunta, il magone si fa intenso. La salita è una metafora meravigliosa ed ha un unico grande difetto: una volta raggiunta la cima non si può che scendere. Chissà poi se è un difetto, questo. Fa parte della metafora.. quando hai tutto può perdere tutto, ma qui c'è un rafforzativo, quando hai raggiunto la quota massima la devi perdere, non c'è alternativa. Ed è per questo che il tempo soggettivo del salire va assaporato con tutto l'amaro della fatica in bocca, si sta guadagnando l'emozione del traguardo prefissato ben consci che una volta su, alla gioia del salire, subentrerà la tristezza del dover scendere.
Il vento è decisamente frizzante lassu, lo strato di umidità che copre la pianura è come il tappo del contenitore nel quale tutti devono vivere e dentro il quale le regole superano le emozioni. Quando si riesce ad andarci sopra è il cuore a comandare. Ecco perchè c'è tristezza nello scendere, ci si ritorna ad allacciare le cinture della conformità, dell'essere come gli altri si aspettano tu sia.
Eppure è strada anche la discesa. E per la prima volta, grazie alle semplici parole di augurio del ciclista francese, cercò di dare un senso positivo allo scendere, al perdere quota, al ritornare alla partenza.
Forse la chiave di lettura è il prendere coscienza.
Era una giornata speciale per lui, la sentiva tutta sua, si sentiva di poter vivere quelle ore come realmente desiderava di viverle. E la programmava da tempo: le ferie al lavoro, gli occhi sulla cartina già da qualche sera prima, la sensazione di massima libertà già sulla pelle. La scelta della destinazione andava sempre verso una vetta con un significato particolare, ogni anno diverso, ogni anno più intenso.
Il 13 maggio gli ha sempre regalato il sole, il profumo intenso di fiori, le montagne chiare da sembrare ancora più vicine, il cielo ripulito dal vento di primavera”

Questo era ciò che scrivevo l'anno scorso al ritorno dal mio giro di compleanno, sul Monte Cesen.
Da un anno è cambiato proprio tutto: ora la strada non è fatta di asfalto ma, finalmente, di persone, di sentimenti, di passione, di vita.

lunedì 10 maggio 2010

Tempesta e impeto

Un' uragano nella quiete e nell'ordine di un giardino di linearità neoclassica. Lo sconvolgimento delle forme e lo squotimento delle regole. E' la ragione che perde l'equilibrio e scivola nel vuoto, e impara a volare quando ormai è senza fiato e speranza.
Vortice, tempesta, impeto. Non distruttivo, ma creatore di un caos onnicomprensivo, dove ha spazio l'idea, il pensiero, il sentimento, l'imprevedibile. Lo spirito creativo liberato del guscio, che non va limitato. Il tempo dell'ordine è successivo al momento dell'ispirazione, l'idea nasce libera da schemi e trame. Non si può chiudere una porta prima che la casa sia costruita.
Rotti gli schemi, superate le regole e le trame della ragione, trova emancipazione il genio romantico. La rielaborazione dello squotimento, della tempesta va rielaborato, per necessità.
Nel viaggio per i mari del tempo la nostra zattera attraversa gli stadi che l'umanità ha percorso nei secoli e nella storia. Si cercano dapprima le regole semplici, le forme e le rotte lineari. Il classico, il tenue, l'equilibrio rassicurante in cui si trova rifugio, come un porto in un ansa sicura. Subentra poi il pensiero, la ragione, a voler comprendere al di la delle prime facili forme, in uno slancio verso l'illuminazione. E proprio quando sembra tutto chiaro è la ragione ad essere travolta dalla tempesta del sentimento. La ragione che ad un passo dalla soluzione sopravviveva in un inquietante solitudine.
La tempesta rivela che il cielo è uno spazio di proporzioni maggiori alla terra, come in un quadro del preromanticismo tedesco. Nel cielo galleggiano i sentimenti che molto piu dei pensieri determinano i movimenti e le rotte.
Non c'è limite al salire, nel cielo. Si possono disegnare angoli di follia di sorprendente semplicità. Come il roccocò di specchi ed eccessi nel mezzo di un giardino di eleganza e grazia neoclassica. Come il barocco di Bach nel prato ordinato dei 12 toni.
Il razionale diventa sogno, quando è scosso dalla tempesta, se si fa travolgere ad occhi chiusi e si abbandona alla follia creatrice. Il sogno è felicità, la felicità è condivisione. La felicità è un vettore che rimbalza fra le anime e ritorna sempre con l'intensità che riesce a riflettere, creando un turbine di riflessi condizionati. La felicità è sospesa per il tempo in cui è in viaggio e si sprigiona nell'istante dell'impatto, nel momento in cui il riflesso arriva a destinazione. Quando le due anime sono vicine, il tempo del viaggio è minore e gli attimi di felicità piu ravvicinati e intensi. Quando colpisce, ad occhi chiusi si può assaporare il momento di perfezione assoluta, sospirarlo, sfuggente. Quando riparte si aspetta un nuovo zenith dei sensi.
Lo sturm und drang non si può descrivere, è un momento di sconvoglimento, una centrifuga destabilizzante, un volo in caduta libera che incontra la sua velocità limite e trova nuovo equilibrio.
Lo sturm und drang è un violino che vibra e si incendia sulle note del desiderio.
Lo sturm und drang è il bianco adagiato sul bianco, che riassume in se e comprende ogni sfumatora e tono di colore.
Lo sturm und drang è rock a 12 corde sotto il monoptero di orgoglio e pregiudizio.
Lo sturm und drang è l'imprevisto, il tempo regalato, ogni emozione aggiuta.
E' una buffa baruffa a uova e farina, è un frullato di sorpresa, dentifricio e lenzuola.
E' ogni altro gradino salito insieme nella scala a chiocciola della vita.
E' il 23 marzo di Botticelli, il 28 marzo di Klimt, è l'8 maggio di Van Gogh

venerdì 23 aprile 2010

Riga, 2

Ancora a Riga, ancora aeroporto, quattordici giorni dopo.
Questo posto è una stazione ultimamente molto frequentata nelle mie transumanze trans-europee.
Questa volta ho cambiato caffè, i divanetti di questo sono proprio comodi, perfetti per aspettare l'imbarco per Venezia, fra un paio d'ore.
Ho davanti a me sempre grandi vetrate, ma oggi non lacrimano di pioggia, sono asciutte ed entra tanta luce.
Durante il volo da Tallinn ho addocchiato la cartina nel libretto di Airbaltic..l'avrò guardata 10 volte, durante i miei viaggi, ma ogni volta scopro qualcosa di nuovo. Non avevo mai notato, per esempio che il Kazakistan fosse così esteso e non avevo neppure una mezza idea di dove fosse Astana, la capitale. Sulle cartine geografiche il mio essere viaggiatore ha sempre incontrato la fantasia e la curiosità, ciò valeva da bambino, ciò vale adesso. Ricordo benissimo il mio primo mappamondo, con la luce che lo illuminava dall'interno. Lo giravo e rigiravo, già mi ero accorto di quanto piccola fosse l'Italia e di quanto spazio ci fosse intorno da venere.
Ancora nella cartina di Airbaltic.. un flash.. il lago Bajkal..un ricordo vivissimo riaffiora, la voce della maestra Angela che ci legge “primavera sul Bajkal”, terza o quarta elementare. A me piaceva tanto quel momento, la sua intonazione dolce ed espressiva, il mio chiudere gli occhi e immaginare luoghi lontani. Il lago, il bosco, taiga e tundra, il cielo del grande nord. Chissà, come saranno..mi chiedevo.
Ed eccomici dentro, ambienti e sensazioni oggi quotidiane sono proprio ciò che allora sentivo lontane e affascinanti. Oggi, quando vado in bici lungo il lago Manniku, mi sembra di essere in un posto che conosco da sempre, forse proprio perchè l'ho immaginato da bambino, lo sognavo mentre la maestra leggeva. Il lago Manniku è il mio Bajkal, dove la primavera è il ghiaccio che si scioglie e mostra alle nuvole i prati, dove i venti soffiano e increspano lo specchio d'acqua, dove le conifere che lo circondano ritornano verdi e accolgono gli uccelli e il loro canto.
Ciò che era lontano oggi è vicino.
Che cos'è l'amor, si chiede Vinicio Capossela.. “è un posto d'oltremare che è lontano solo prima d'arrivare”. Ancora il mare, ancora il navigare, ancora la nostra zattera.
Lontano e vicino, vicino e lontano.
Da piccolo, quando i riferimenti geografici erano la chiesa del paese, la farmacia e la scuola, mi chiedevo da che parte dovessi girare, una volta uscito di casa, per raggiungere il Bajkal. Lontano era già andare dalla nonna, 20 chilometri. Era impresa andarci in bicicletta, come qualla volta col papà, di sabato pomeriggio, a 8 o 9 anni.
Oggi non vedo posti lontani. I posti lontani non esistono, come non esistono le lingue difficili.
La necessità rende le cose vicine o lontane. O forse, il vero metro “adulto” per misurare le distanze, sono i sentimenti. E' vicino ciò a cui siamo legati, indipendentemente dalla distanza. E' lontanissimo ciò che non ci è familiare, ciò che ci rende insicuri.
Lo sto imparando ogni giorno, quanto un sentimento forte possa abbattere e avvicinare.
Già lo sapevano gli antichi navigatori, che nel buio della notte, in mezzo al mare, si facevano guidare e trovavano conforto nelle stelle, cosi lontane e rassicuranti.

lunedì 19 aprile 2010

progettoestone: Controvento

progettoestone: Controvento
http://www.youtube.com/watch?v=BCm3I3qahkQ&feature=related

Controvento

E' aprile, è il mese dei venti. Queste entità misteriose che governano i climi, che fan muovere le nuvole, che puliscono il cielo e liberano il sole dalla prigione dei cumuli. Invisibili, mutevoli, favorevoli o sfavorevoli.
Sabato mattina, sulla strada verso Muraste, a cavallo della mia mtb ce l'avevo proprio in faccia. Ruote grosse, tappate, rettilineo di una decina di chilometri in leggera salita e folate a 60km/h contro.
Andare controvento è una capacità che si acquisisce con gli anni, con le esperienze. Significa accettare che un'entità invisibile determini in modo consistente ciò che si sta facendo. Il vento non si vede ma c'è, e l'indole umana cerca di comportarsi come se questa forza non ci fosse. E invece va accettata.
Pedalando, agli inizi, il vento è un nemico. Lo si soffre molto, non si sa gestirlo. Quand'è a favore non lo si ringrazia, quand'è contro lo si maledice. Ci sembra di non riuscire ad avanzare, ma è solo perche non accettiamo che ci sia. Non accettiamo che qualcosa, perlopiù senza una faccia, si metta fra noi e la strada da percorrere. Il vento innervosisce, disturba, frena, sbilancia. Ce ne ricordiamo solo quand'è contrario.
Una volta capito che le forze in gioco sono anche invisibili il vento diventa un attore della commedia, non un nemico. E ci si stupisce a quel punto di quanto gratificante sia giocarci insieme, di quanta forza dentro abbiamo, di come sia possibile conviverci con il sorriso.
Avanzare sereni è accettare. Accettare che ci siano dei rallentamenti, accettare di dover fare piu fatica della prevista, accettare qualche folata che ci manda fuori rotta, pronti a ritornare in direzione.
Come un albero ci si deve adattare. Ciò che è rigido si spezza, il malleabile prende la forma più adatta e resiste, si reinventa.
Fa tutto parte del sottile equilibrio fra il dentro e il fuori che va continuamente bilanciato.
Ma per accettare e adattarsi dev'essere ben chiara la meta da raggiungere, cosicche gli sforzi non siano vani e il vento non li dissolva.
Seguire la luce, l'unica cosa che il vento non sa spostare.

venerdì 9 aprile 2010

Riga, 22.52

Aeroporto deserto, una musichetta da lounge bar in sottofondo, l'atmosfera di un locale che sta per chiudere. Fuori piove, le gocce scivolano nelle grandi vetrate affacciate sulla pista. Mangio qualcosa, l'occhio cade sullo scontrino, il numero 444 della giornata. Numero pari, sarà un segno, a me favorevole.

Fra un ora ho l'aereo che mi porterà per la quinta volta a Tallinn. Atterrare lì è una sensazione che conosco bene, ormai familiare, consueta.

Le gocce di pioggia continuano a cadere, sottili, e formano dei piccoli cerchi quando si scontrano con le pozzanghere sull'asfalto nero. E' così ovunque, a tutte le latitudini. La natura segue le stesse regole in ogni angolo di pianeta.

Ho iniziato a leggere “il cammino di santiago”, ancora Coelho. Un autore che fino ad un anno fa non avrei sopportato, visionario e surrealista com'è. Ma è grazie a lui che ho iniziato ad osservare i segni della natura con occhio diverso. Ogni goccia nella pozzanghera è parte di un disegno piu grande, l'insignificante elemento che completa l'insieme in modo determinante.

La mia concezione razionalista finalmente ha trovato il suo limite, si è consumata nell'essenza e nell'indeterminatezza di risposte troppo precise, senza poesia.

Ora vedo poesia ovunque.

Nella goccia di pioggia nella pozzanghera, nella rottura di un pedale, nello sguardo di uno sconosciuto. E quando si apre il cassetto della poesia il tutto diventa infinito.

Due frasi nelle prime pagine del “cammino” mi hanno turbato, colpito.

Nella prima ritrovo perfettamente i concetti che proprio qui scrivevo solo un mese fa.

E' piu sicura l'imbarcazione nel porto, ma non è per questo che le barche sono state costruite”.

Navigare in mare aperto, guardare il mondo con curiosità.

La seconda è quanto di piu vicino ci sia al pensiero di Ivan che chiude il nostro video '09. “

Lo straordinario sta nel cammino delle persone comuni”.

Sembrano in antitesi le due frasi, ma non lo sono. Navigare per capire che lo straordinario ci è di fianco e non davanti. Ogni nuovo porto è un passaggio, ogni onda uno strumento, ogni tempesta una prova. Abbiamo già tutto ciò che potevamo sognare, appunto.

Si, ora me ne accorgo.

Ora capisco i perchè dei turbamenti e delle sofferenze.

Ora, guardando alla natura per riconoscerne i segni e la poesia, vedo che i puntini disordinati della mia vita, se uniti danno un disegno bellissimo. E sento tanto calore di fianco a me, una luce che illumina il mio navigare. Non mi servono bussola o carteggi, guardo alla luce, so che è li per me.

E sento che ritornare a Tallinn, per la quinta volta ha un sapore del tutto nuovo. Finalmente ha un perchè non economico. Finalmente, se guardo indietro, posso dire che ogni scelta è stata più che giusta. Molte istintive, ma l'istinto sa da che parte ci si salva.

Sembrava tutto senza senso, finche il senso non mi è apparso di fronte, improvvisamente.

Kapelmuur, il prima e il dopo.

Ancora la bicicletta a traghettarmi al di la del fiume. Sotto un diluvio il senso del passaggio in un sabato di Pasqua in strade piene di fango e pietre. A far vibrare l'anima per ricordarmi che è piu grande del corpo, che molto spesso non riesce a contenerla.

Ancora più indietro, un giorno di fine agosto, l'incontro con il mio angelo custode che di nome fa Fabrizio e mi insegna ogni giorno ad essere generoso e semplice. Ancora grazie alla bicicletta, senza la quale oggi non scriverei queste parole.

Mi guardo indietro: vedo tanta strada fatta, tanto sudore nelle salite assolate d'estate, sforzi a volte insopportabili. E vedo gli incontri che grazie a tanto peregrinare in sella mi hanno cambiato. Vedo Ivan, vedo Cristiano, vedo Marco, vedo Fabrizio. Vedo Andrea. Ogni incontro messo lì per dare una pennellata al quadro, in attesa della cornice.

Mi giro indietro e vedo un lavoro prestigioso ma sterile e la decisione di volare in riva al Baltico.

La voglia di condividere le giornate attraverso un blog che via via è diventato cronaca interiore piu che cronaca esterna.

Mi giro indietro e vedo il fine settimana nel quale le mie certezze hanno toccato il minimo, nel gelo assolato di Stoccolma, con due amici veri. Ma dai minimi si rimbalza, me lo ha insegnato la finanza, che prima che soldi è psicologia, paure ed euforia.

E proprio nel momento in cui Coelho mi insegnava che ogni partenza ha come meta un luogo diverso dalla destinazione, ho scoperto anch'io che il mio grande tesoro mi aspettava molto vicino, in un luogo conosciuto.

E allora unendo tutti i puntini, tutti gli incontri, tutte le decisioni prese, tutti i patimenti, tutte le strade percorse.. il disegno si fa nitido.

E illumina il mio navigare.

Talmente nitido che da un senso, compiuto, a questo blog. Talmente compiuto da farmi riflettere sul continuare o meno a scrivere. Sembra un cerchio chiuso. Sembra perfetto così, senza nulla di più.

Ma forse le pagine più belle, ora che la luce c'è e indica chiaramente la via, saranno ancora da scrivere.

Ed è con questo spirito, con questo nuovo ottimismo, con questa rinnovata forza che si continua.

Nel blog e nella navigazione, senza bussola e senza carteggio.

mercoledì 17 marzo 2010

17 marzo

Il 17 settembre, 6 mesi fa, partivo per l'Estonia. Pioveva ed era un giovedi.
Oggi 17 marzo, Tallinn è coccolata dall'ennesima bianchissima nevicata. Siamo ancora sottozero ma ben venti gradi sopra ai rigori dell'inverno che, con buona probabilità, dovrebbe essere alle spalle.
Quando scende la neve e la si guarda dalla finestra l'atteggiamento e lo sguardo sono quelli dell'attesa. Si aspetta che il tempo migliori, che i prati tornino verdi, che arrivi qualcosa di buono dal futuro. Si aspetta di conoscere chi non si conosce, di vedere ciò che ancora non si è visto, di assaporare emozioni nuove. La neve è una pennellata di bianco in un muro sporco. Messa lì per riportare tutto com'era, per far ripartire il nastro.
Io sto aspettando qualche buon ritorno dalla fiera di domani. Sto aspettando una lettera elettronica.
E sto aspettando di tornare a casa per il periodo di Pasqua, per varie ragioni. La prima è appesa in cielo e illumina le notti ad ogni latitudine. Poi c'e la sfida dei muri fiamminghi, inseguita da un paio di anni, coltivata in questo inverno senza pedalare all'aperto, preparata in solitudine. E poi le persone, che ritrovo con sempre maggior piacere, con voglia di trascorrere del buon tempo insieme.
Il tempo e lo spazio sono elementi della stessa onda mi spiegavano Anastasio e Pietro. Verissimo. In questo fisica e filosofia sono vicine come mai. Piu ci si avvicina all'essenza, all'origine, agli elementi primari, e piu sono intimamente legate.
Per questo motivo mi sento vicino a tutto, sei mesi dopo. C'è continuità in quello che sto facendo rispetto a ciò che facevo prima, il divenire ha solo trasformato, traslato, spostato. Ma son ancora nella stessa onda, la mia. La zattera che prima era al porto sta cavalcando da sempre la stessa onda, che man mano che ci si allontana dall'approdo sicuro diventa piu grande, ma è sempre lei.
Gli scossoni son sempre maggiori, la velocità e gli spazi dei cambiamenti si stanno amplificando. E' per questo che tutto mi sembra vicino, perche raggiungibile in sempre minor tempo.
Ma c'è qualcosa che abita in un mondo parallelo, immutabile. Sono i sentimenti. Loro non cambiano mai, non sono influenzati dall'onda spazio-tempo. Siamo noi che attraverso lo spazio e il tempo saltiamo da uno stato d'animo all'altro. Loro sono li. Immutabili, eterni. Noi ci allontaniamo e ci avviciniamo ad ognuno di loro con ciclico disordine. Sono i magneti della nostra bussola, i venti del nostro navigare. E' per loro che alziamo le vele e speriamo che le onde ci sospingano nella direzione che desideriamo.
Oggi, 17 marzo, sono in mare aperto. Avanti tutta.

(auguri maestra Angela)

sabato 13 marzo 2010

Natura

Questa mattina andando verso Vigala il miei occhi erano pieni di primavera. La lingua di strada che attraversa la foresta era teatro di uno spettacolo bellissimo, il risveglio della Natura. A piccoli passi, ma la direzione è segnata. Nel cielo azzurrissimo le nuvole candide iniziano la loro rincorsa al sole, e si muovono veloci. Gli alberi giocano a svestire il mantello bianco dell'inverno per indossare il verde della nuova stagione. Il sole è un regalo dorato che sembra finalmente riscaldare dopo un inverno di timidezza. Quel che rinasce sono i colori, si esce dall'uniforme bianco dell'inverno e la tavolozza riprende sentimento. Mi sono sentito silenziosamente parte della Natura. Non riuscivo a cogliere il confine fra me e Lei, è stata un emozione autentica.
La primavera qui è diversa, non vanno fatti paragoni. E' più lenta, è piu corta, è meno spumeggiante. E' come tutti gli estoni, timida. Se chiudo gli occhi immaginno davanti le primule e le violette nei tornanti al sole del S.Lorenzo. Qui le forme e i colori sono diversi, si fanno attendere e desiderare di più. Tanto che, spiaggia mare e cielo sono indistinguibili..ancora uniformemente bianchi. Ma ogni cosa a suo tempo. Il tempo, prezioso, va rispettato. E vissuto in ogni istante. Perchè il presente (in ogni lingua) è "un regalo".

lunedì 8 marzo 2010

Ricomincio da qui

Un mesetto che non scrivo e non voglio riassumere ma ripartire. "Riparto da qui", la canzone di Malika Aylane che l'attento Andrea mi ha consigliato di ascoltare.
C'è da ripartire? si, decisamente si.
Stoccolma, da cui sono appena tornato, è una città sorprendentemente azzeccata. E Andrea e Paolo (Anastasio e Pietro) due persone per me davvero importanti, presenti ieri oggi e domani.
Si riparte quando ci si ferma o quando si rallenta, a volte di perde la direzione, a volte si perde la spinta, l'inerzia. E allora due ingenieri possono aiutare, con il loro approccio causa-effetto a far ripartire la macchina.
Riparto da loro, dall'importanza di sentire dei riferimenti forti.
Io sono un criticone, lo sono sempre stato, mi piace ribaltare i punti di vista. Mi piace provare a togliere i riferimenti per capire se il sistema regge oppure no, se tutto torna alla propria posizione originale, se una posizione originale esiste. Vivendo lontano da casa, fuori dall'ambiente che per me è stato di riferimento per 27 anni, è facile metterlo in discussione.
Venendo al concreto, di fronte ad una bistecca in una bella Steak House di Stoccolma, sono riuscito a "litigare" con Paolino sulla superiorità culturale dell'Africa o della Cina rispetto alla nostra cultura. Ciò che sostenevo era che la centralità dell'essere sull'avere di quei popoli mi faceva presupporre che pur essendo economicamente e scientificamente piu arretrati in realtà il loro equilibrio e il rispetto per l'individuo siano maggiori.
La risposta di Paolino, è stata giustamente una difesa del progresso tecnico-scientifico e di tutti i benefici che questo ha portato. Andrea, ha svolto il ruolo di mediatore-provocatore, con efficacia.
Alla fine, Paolino mi ha detto:"certo che hai proprio una bella confusione in testa, tu non hai nessuna base su cui costruire la tua vita". E ha perfettamente ragione.
Credo, in questo momento, di vivere un "relativismo totale".
E per questo, nel grande mare in cui galleggia la mia piccola zattera, bisogna trovare dei punti fermi per non essere travolti. Gli amici, ci sono, e sono una grande risorsa e un porto sicuro. Risorsa per il confronto, porto per il conforto.
E la grande ricchezza è la loro varietà: ognuno insostituibile.
Riparto da loro quindi, per sentire che la zattera può diventare vascello.
Essere una zattera nel mare non è facile come sostare, riparati, nel porto. Mettere in discussione tutto è proprio questo, è partire, è affrontare il mare che all'inizio quando ancora si vedono le lucine delle case lungo la costa lusinga perchè sembra calmo e accogliente. Poi allontanandoci un po, ci sembra di domare con facilità le sue onde ancora timide. Quando siamo in mare aperto, le raffiche diventano piu forti e ci si rende davvero conto di essere vulnerabili.
La vocazione a partire l'ho sempre avuta. Da piccolo, emulando la pubblicità della Chicco, ho messo una mela in un fazzoletto, legato all'estremità del bastone della scopa e volevo partire. Ero già sulla porta di casa quando la mamma mi ha detto "dove vai, Fabio?".
Ero e sono curioso.
E capisco ora che la metà di ogni viaggio è dentro di noi, e che se si arriva lì dove ci siamo prefissati all'inizio di arrivare significa che qualcosa è andato storto. Iniziare un viaggio significa essere pronti a cogliere i segnali e a cambiare mezzo e meta, se necessario. Questo è viaggiare, aprendosi ad ogni imprevisto e leggendolo come un segnale.
Ha fascino la vita, vissuta così. E ci vuole coraggio a lasciare il porto con una piccola zattera. Ma fa parte del gioco, o almeno delle mie regole.
E ogni piccola zattera spera di trovare in mare aperto un'altra piccola zattera con la quale unire le travi per costruire un'imbarcazione più forte e affrontare, insieme, le insidie. Ma si sa che il mare è grande, le onde imponenti, le correnti imprevedibili. E' difficile che due piccole zattere si incontrino, con tutto lo spazio che c'è.
Io comunque continuo a navigare.

Grazie ancora Anastasio e Pietro

lunedì 8 febbraio 2010

Point break

Oggi ho sentito parole che sono molto pesanti nell'economia delle mie scelte future. Mi siedo, penso, leggo. Un momento di smarrimento.
Rifletto. Le solite domande: chi sono, dove vado, cosa farò da grande. Alcune risposte, oggi, le trovo fra gli amici forumendoli. Persone straordinariamente presenti ma che non ho mai visto, ma me li immagino tutti come se fossero vecchi amici.
E' leggendo e discutendo delle difficoltà degli altri che si ha la possibilità reale di guardare alle proprie e di sentirsi piu vulnerabilmente umani, sbagliati, erranti.
Una frase mi ha aperto gli occhi:

"I condizionamenti che riceviamo da quando siamo piccini picciò ci fanno piombare addosso un copione che, in molti casi, è difficile da strappare. Si va avanti negli anni e la distanza tra la vita che si fa e quella che era nella nostra vera natura aumenta. Spesso si finisce per diventare una maschera che cammina, mentre il vero sé si perde chissà dove e non si ritrova più."

E' tutto qui, in queste righe scritte da un profondissimo conoscitore dell'animo umano (ziojo).
Perchè i momenti piu belli dell'esistenza li riconosciamo tutti nella nostra ingenuità di bambini,, quando il fanciullino era ancora in noi e si stupiva di ciò che non conosceva, quando la nostra idea di noi era dettata da noi stessi e ci mettevamo come prima persona al mondo, quando gli altri erano strumento di conoscenza e di scoperta, quando col triciclo si superava quella muretta di recinzione e gli occhi si spalancavano davanti al mondo inesplorato.
Quando mangiavamo per fame e sapevamo benissimo se avevamo voglia di dolce o di salato.
Quando dormivamo sereni e i nostri sogni erano un mondo pieno di bambini che giocano insieme.
Quando stare con il papà e la mamma era la gioia più grande possibile perche ci sentivamo invincibili vicino a loro.
Sono i bisogni primari a difinire la strada quotidiana di ogni bimbo, e lui, così, è felice e in equilibrio.
Ora il desiderio di essere genitori che prima o poi arriva non è altro che la voglia di rivedere nei figli gli stessi occhi che avevamo noi da piccoli, pieni di voglia di mondo. Perchè quegli occhi, a noi adulti, sono negati.
Poi, inesorabilmente, la coscenza si fa avanti..
Da bambini non si ha una coscenza, non esiste freno. Non si guarda a destra e sinistra prima di attraversare la strada.
E man mano che la coscenza si fa avanti si accumulano privazioni, obblighi, regole sociali. Nascono nuovi bisogni indotti, dettati dal modello di uomo consumatore acritico che ogni bravo cittadino occidentale deve aspirare a diventare. E allora, pian pianino, nelle persone con un minimo di voglia di autoanalizzarsi, si nota che il divario fra ciò che siamo dentro e ciò che siamo fuori si fa sempre più ampio. Dentro di noi c'è la resistenza del fanciullino che ci riporta all'istinto di scopritori. Fuori di noi ci sono i giudizi della società che ci portano a una dinamicissima nullità spirituale. L'inutile combatte quotidianamente la sua battaglia con la spiritualità per trovare posto dentro di noi. E man mano che prende spazio ci allontaniamo dalla nostra essenza di bambini.
Quand'è che siamo davvero contenti? A questa domanda rispondo per me. Io sono davvero felice quando gli occhi si spalancano su un nuovo mondo (come quando da bambino col triclo andavo oltre la muretta del parcheggio), quando ho vera fame (come quando da bambino alle 16 dopo aver giocato a calcio con Simone in cortile mangiavo il panino), quando sono con gli amici a chiaccherare (i sogni di ogni bambino sono in compagni di altri bambini), quando c'è armmonia in famiglia (il senso di protezione).
E poi sono davvero felice quando sono in bicicletta.
Forse la bicicletta è la sintesi di tutte le esigenza primarie del bambino: si scopre il mondo non civilizzato (boschi, montagne, fiumi etc..), ci si sente invincibili anche se non si è nessuno, ci si avvicina ai bisogno primari della fame e della sete, si può stare silenziosamente a condividere una strada con persone che vivono nello stesso istante le tue straordinarie emozioni.
E poi la bicicletta è il mezzo attraverso il quale, a volte inconsapevolmente a volte consapevolmente, si espiano le colpe dell'essere diventato grande. Attraverso una fatica a volte estrema ci si sente a posto con noi stessi per aver abbandonato il bambino che c'era in noi e per essere andati a cercare le ricchezze terrene. E' una livella, la fatica, fra noi come siamo e noi come vorremmo essere rimasti. Totò diceva che la livella è la morte, secondo me è la fatica.
Il vero cruccio dell'uomo moderno non è il non sapere cosa si vorrebbe essere, ma è proprio l'essersi allontanato da ciò che è.
Proprio ieri, non so perche, mi è venuta voglia di RAAM. Non è una parolaccia estone, ma una corsa in bicicletta. Race Across America, 5000 km tutti d'un fiato. Forse queste voglie estreme arrivano quando ci si è molto allontanati da ciò che si era e si ha bisogno di una grande "livella" per ritornare al punto di equilibrio. Non so se mai la farò quella corsa, sicuramente quando la finisci, se la finisci, sei una persona diversa.

Credo che questa pagina sia un punto di arrivo importante nel mio viaggio personale. E' un po come il traguardo di Feltre dell'anno scorso insieme a Ivan, da li sono partito per trovarmi qui ora.
"E che ogni tragurado sia una nuova partenza" scrivevo fino a pochi mesi fa come firma nel forum, ora sostituito da "abbiamo già tutto ciò che potevamo sognare".
Son partito e finisco parlando degli amici del forum, ai quali dedico queste righe sopra. A due ragazzi in particolare, uno che forse l'equilibrio l'ha trovato (Andrea, il nostro regista) e ad un altro che come me lo sta inseguendo (Posse, prima o poi una pedalata insieme la facciamo).

venerdì 22 gennaio 2010

Finalmente, dopo 27 anni e mezzo di vita, sto leggendo (e finendo) volentieri un libro. Qualcuno di molto importante qualche mese fa mi ha detto che sono i libri a cercare noi, non noi a cercare i libri, e che ogni libro che ci accingiamo a leggere è arrivato a noi perche siamo pronti ad affrontarlo. "Il canto delle manère" mi è stato regalato dal papà a Natale, 400 pagine che ho pensato difficilmente sarei riuscito a finire. E invece no. Lo sto finendo e non vedo l'ora la sera di sdraiarmi e gettarmi nel mezzo della storia. Storie di boscaioli, di Valcellina, di emigrazione. Di anni di fame, di stufe a legna, di monte Tòc, di boschi. Storie di radici e di malinconia, di fuga dalla propria vita e di tentativo di ricostruirsene una di nuova laggiù, nell'Esempòn (come veniva chiamata l'Austria dagli emigranti friulani di inizio '900). Storie di sentimenti veri e non filtrati, di parole rudi e dirette, di stagioni che cambiano colore accompagnate dai canti e dai toni di diversi animali.
Forse ci piace un libro quando ci immedesimiamo davvero. E per me Santo e la Valcellina sono presente e passato. Santo ora (nel libro) è in Austria e sta imparando a parlare tedesco. Lavora come boscaiolo e vorrebbe tirar su una squadra di boscaioli tutta sua per tornare a casa il piu presto possibile, perchela sua casa è la Valcellina dove ha lasciato proprio tutto.
La Valcellina è per me il giro piu bello in bicicletta. L'ho fatto con tutte le persone piu importanti della mia vita in bici. La prima volta con Marco, quando ancora guardavo i miei compagni di uscite dilettanti come degli ufo ai quali dovevo assomigliare per forza. Poi con Cristiano passando all'andata per il Cansiglio e al ritorno per il Piancavallo, prima della piu bella Campagnolo per risultato ottenuto, nel 2006.
Poi con Ivan, nel 2007, per preparare la Chesini che ancora si chiamava Chesini e non Avesani. Con Ivan ogni pedalata è nel cuore perche con lui non mi sono mai allenato, ho sempre fatto giri in bici, il che è proprio molto diverso. Le fontane, il ruscello, il lago di Braies..mi sembra di passarli adesso con lui di fianco. E su fino al Piancavallo, la pausa brioches e la crisi di fame atroce a Stevenà con il vigneto di uva fragola a salvarmi la vita (e la glicemia!).
Ricordo la Valcellina con la stessa malinconia con cui la ricorda Santo dall'Esempòn.
La Valcellina è una valle silenziosa, solenne, immutabile. Fredda d'inverno e fresca d'estate.
L'ultimo giro della Valcellina l'ho fatto il 14 febbraio scorso. Siamo saliti sul Fadalto che c'erano -4 gradi e mi sembrava il gelo ineguagliabile. Oggi vivo a -20 e mi sembra normale. L'uomo è una bestia che si adatta a tutto, lo dice anche Santo. E' per questo che mi piace il libro, perche io e Santo ci assomigliamo.
Testoni e lontani da casa.

domenica 17 gennaio 2010

la vera solitudine

Certo centra poco con l'Estonia, la solitudine è una questione universale. Oggi sono andato a vedere un film e ne sono uscito un po diverso o almeno consapevole di qualcosa di importante. London River ("Londoni jõgi" per i miei fans estofili..) è un film che a Berlino ha preso l'orso d'argento e il premio per miglior attore protagonista. Mi aspettavo una trama di odio razziale che sfocia nella comprensione e nell'amicizia quando due persone di culture diverse si rendono conto di essere nella stessa situazione tragica. E invece negli occhi dei protagonisti si vede come la solitudine, quella vera, scavi i volti. E' la storia di una madre inglese e un padre francese di origine africana che perdono i loro figli negli episodi di bombing degli autobus di Londra nel 2005 e che si conoscono proprio a Londra quando decidono di andare a cercare i rispettivi figli che da qualche giorno non danno notizie di sè. E una volta che si scoprono che i loro figli erano su uno di quegli autobus sprofondano nella solitudine.
Non si è soli quando intorno a noi non conosciamo nessuno, essere soli significa aver perso una persona cara. La sua compagnia, la sua voce, il suo affetto non torneranno ad addolcirci le giornate.
Questa giornata di gennaio va tutta in ricordo del mio maestro silenzioso che aspettava sulla porta la mia visita dopo i giri in bicicletta per sentirsi raccontare che strade avessi percorso. Ciao nonno Gino.

"tu lo sai che non è la fine
che viene maggio e scioglie le brine
resti d'inverno persi nel vento
io non mi stanco noo
e vengo a cercarti in un sogno amaranto..
questo cuore sparpagliato per il mondo se ne va
questo cuore disperato e delicato..
così mi manchi nell'universo
e in mezzo al mondo
cosi ti cerco
e grido forte
da in mezzo al mondo
solo io posso trovarti
solo io e inginocchiarmi
solo io per innalzarti mio sole mi senti?
io sono un ombra e tu sei il sole
cosi mi manchi
e grido forte da in mezzo al mondo
sole rispondi"

giovedì 14 gennaio 2010

Ultimo mese

Guardare indietro nell'ultimo mese e vedere la strada che ho percorso. Mentre ci camminavo sopra mi sembrava di essere sospeso in un tranquillo ambiente conosciuto, fatto di affetti, sicurezze, persone insostituibili, ricordi. Però il piacere di camminare sopra la propria terra ha radici ancestrali. Voglio ripercorrere quest'ultimo mese per capire fino in fondo dove sono ora. Il primo pensiero va al mio grande amico Fabrizio. L'ultima perla che la mia avventura di ciclocurioso mi ha regalato. Ricordo i 18 minuti di San Lorenzo al suo fianco mercoledì 16 dicembre. Tutte le sfumature del verde e del marrore erano presenti, con accenni di giallo e arancio. Poi il salto nel silenzioso bianco con Paolo Andrea e Cristiano, e la pace del rifugio Averau. Il rumore delle ciaspole sulla neve, la paura in forcella, il te caldo all'infinito, la stube che riscalda la schiena, i piatti e la simpatia di Sandrone, i lunghi dubito, il gasolio ghiacciato e l'inaugurazione del bar bianco. Ma su tutto l'infinito del rifugio Nuvolau.
E ritrovare Ivan al solito incrocio di S.Giacomo come se nulla fosse successo dopo il 22 agosto, con la stessa se non aumentata voglia di vedersi parlarsi pedalare insieme. Fabrizio F. e Luigi G. che mi son sempre stati vicinissimi.
E poi è stato un tapis roulant sempre più veloce fra regali auguri panettoni visi noti e abbracci con persone care. Una porta con uno spiffero aperto, chiusa dal vento dell'inverno.
Le partite a calcetto, Andrea Roberto e Alessandro. Il pranzo della lepre, l'ossada con spaghetti all'una la notte del panevin.
Qualche linea di febbre e di corsa a casa di mamma Solidea per una grigliata sempre speciale davanti al fuoco del caminetto con Paolo, Paolo Welcome e il nostro Capitano.
Il saluto di Fabrizio all'incrocio Resera-Arfanta.
E il saluto a Fabrizio la mattina del 9 con la macchina in divieto di sosta (ma lui può).
Eccomi qua, cinque giorni dopo, tanti dati nuovi in testa e già tanti riscontri relazionali sul campo di battaglia. Nel prossimo mese maturerà la decisione e il bivio si avvicina.