lunedì 8 febbraio 2010

Point break

Oggi ho sentito parole che sono molto pesanti nell'economia delle mie scelte future. Mi siedo, penso, leggo. Un momento di smarrimento.
Rifletto. Le solite domande: chi sono, dove vado, cosa farò da grande. Alcune risposte, oggi, le trovo fra gli amici forumendoli. Persone straordinariamente presenti ma che non ho mai visto, ma me li immagino tutti come se fossero vecchi amici.
E' leggendo e discutendo delle difficoltà degli altri che si ha la possibilità reale di guardare alle proprie e di sentirsi piu vulnerabilmente umani, sbagliati, erranti.
Una frase mi ha aperto gli occhi:

"I condizionamenti che riceviamo da quando siamo piccini picciò ci fanno piombare addosso un copione che, in molti casi, è difficile da strappare. Si va avanti negli anni e la distanza tra la vita che si fa e quella che era nella nostra vera natura aumenta. Spesso si finisce per diventare una maschera che cammina, mentre il vero sé si perde chissà dove e non si ritrova più."

E' tutto qui, in queste righe scritte da un profondissimo conoscitore dell'animo umano (ziojo).
Perchè i momenti piu belli dell'esistenza li riconosciamo tutti nella nostra ingenuità di bambini,, quando il fanciullino era ancora in noi e si stupiva di ciò che non conosceva, quando la nostra idea di noi era dettata da noi stessi e ci mettevamo come prima persona al mondo, quando gli altri erano strumento di conoscenza e di scoperta, quando col triciclo si superava quella muretta di recinzione e gli occhi si spalancavano davanti al mondo inesplorato.
Quando mangiavamo per fame e sapevamo benissimo se avevamo voglia di dolce o di salato.
Quando dormivamo sereni e i nostri sogni erano un mondo pieno di bambini che giocano insieme.
Quando stare con il papà e la mamma era la gioia più grande possibile perche ci sentivamo invincibili vicino a loro.
Sono i bisogni primari a difinire la strada quotidiana di ogni bimbo, e lui, così, è felice e in equilibrio.
Ora il desiderio di essere genitori che prima o poi arriva non è altro che la voglia di rivedere nei figli gli stessi occhi che avevamo noi da piccoli, pieni di voglia di mondo. Perchè quegli occhi, a noi adulti, sono negati.
Poi, inesorabilmente, la coscenza si fa avanti..
Da bambini non si ha una coscenza, non esiste freno. Non si guarda a destra e sinistra prima di attraversare la strada.
E man mano che la coscenza si fa avanti si accumulano privazioni, obblighi, regole sociali. Nascono nuovi bisogni indotti, dettati dal modello di uomo consumatore acritico che ogni bravo cittadino occidentale deve aspirare a diventare. E allora, pian pianino, nelle persone con un minimo di voglia di autoanalizzarsi, si nota che il divario fra ciò che siamo dentro e ciò che siamo fuori si fa sempre più ampio. Dentro di noi c'è la resistenza del fanciullino che ci riporta all'istinto di scopritori. Fuori di noi ci sono i giudizi della società che ci portano a una dinamicissima nullità spirituale. L'inutile combatte quotidianamente la sua battaglia con la spiritualità per trovare posto dentro di noi. E man mano che prende spazio ci allontaniamo dalla nostra essenza di bambini.
Quand'è che siamo davvero contenti? A questa domanda rispondo per me. Io sono davvero felice quando gli occhi si spalancano su un nuovo mondo (come quando da bambino col triclo andavo oltre la muretta del parcheggio), quando ho vera fame (come quando da bambino alle 16 dopo aver giocato a calcio con Simone in cortile mangiavo il panino), quando sono con gli amici a chiaccherare (i sogni di ogni bambino sono in compagni di altri bambini), quando c'è armmonia in famiglia (il senso di protezione).
E poi sono davvero felice quando sono in bicicletta.
Forse la bicicletta è la sintesi di tutte le esigenza primarie del bambino: si scopre il mondo non civilizzato (boschi, montagne, fiumi etc..), ci si sente invincibili anche se non si è nessuno, ci si avvicina ai bisogno primari della fame e della sete, si può stare silenziosamente a condividere una strada con persone che vivono nello stesso istante le tue straordinarie emozioni.
E poi la bicicletta è il mezzo attraverso il quale, a volte inconsapevolmente a volte consapevolmente, si espiano le colpe dell'essere diventato grande. Attraverso una fatica a volte estrema ci si sente a posto con noi stessi per aver abbandonato il bambino che c'era in noi e per essere andati a cercare le ricchezze terrene. E' una livella, la fatica, fra noi come siamo e noi come vorremmo essere rimasti. Totò diceva che la livella è la morte, secondo me è la fatica.
Il vero cruccio dell'uomo moderno non è il non sapere cosa si vorrebbe essere, ma è proprio l'essersi allontanato da ciò che è.
Proprio ieri, non so perche, mi è venuta voglia di RAAM. Non è una parolaccia estone, ma una corsa in bicicletta. Race Across America, 5000 km tutti d'un fiato. Forse queste voglie estreme arrivano quando ci si è molto allontanati da ciò che si era e si ha bisogno di una grande "livella" per ritornare al punto di equilibrio. Non so se mai la farò quella corsa, sicuramente quando la finisci, se la finisci, sei una persona diversa.

Credo che questa pagina sia un punto di arrivo importante nel mio viaggio personale. E' un po come il traguardo di Feltre dell'anno scorso insieme a Ivan, da li sono partito per trovarmi qui ora.
"E che ogni tragurado sia una nuova partenza" scrivevo fino a pochi mesi fa come firma nel forum, ora sostituito da "abbiamo già tutto ciò che potevamo sognare".
Son partito e finisco parlando degli amici del forum, ai quali dedico queste righe sopra. A due ragazzi in particolare, uno che forse l'equilibrio l'ha trovato (Andrea, il nostro regista) e ad un altro che come me lo sta inseguendo (Posse, prima o poi una pedalata insieme la facciamo).