venerdì 16 dicembre 2011

nel mio cielo (quello che doveva essere "l'ultimo volo")

Ci siamo di nuovo, e’ di nuovo Natale.
La ciclicita’ delle stagioni nella mia testa l’ho sempre raffigurata come un anello in cui dicembre e’ il punto piu alto.. poi si scivola giu con l’inverno verso la primavera, in estate siamo nel punto piu basso, li dove l’anello forma una culla e ci sentiamo coccolati dal sole, per poi risalire verso i mesi piu bui.
Ci siamo di nuovo, nel punto piu alto.
E anche quest’anno mi ritrovo con la valigia in mano. Questa volta e’ piu pesante, si fa fatica a chiuderla, contiene tutto quel che mi posso portare appresso. Immagini, sensazioni, esperienze, profumi. Speranze coltivate, vocali di una lingua affascinante, sogni inseguiti.
Non ci sara’ una valigia di ritorno in Estonia.
Ho preso tutto, e indietro non si torna. Ho caricato la zattera con tutto cio’ che puo essermi utile in mare aperto e ricomincio a sfidare le onde. Ho portato per colorare le notti buie di navigazione una tavolozza coi i colori che mi hanno accompagnato in questi anni: il bianco dei ghiacci fino all’orizzonte del mare del nord, il verde dei prati di Vigala in giugno, il giallo dei campi di colza fuori Tallinn, l’azzurro acciecante del cielo d’estate, l’ocra dei sentieri nel bosco di Harku.
Siamo di nuovo al porto, pronti a salpare. Ma questa volta il viaggio e’ di sola andata verso la vita che verra’.
Non mi sembra di stare tornando indietro, non sto tornando a casa. Questa e’ una sensazione che proprio non vivo. Mi sembra piuttosto il passo necessario a incontrare altri colori, i colori che in Estonia proprio non c’erano.
Si va avanti, non indietro. Forse possiamo viverla come la chiusura del cerchio e il ritorno al punto naturale di partenza. Per ripartire.
Ventisette mesi fa vedevo nebbia a me davanti, ben sapevo cio’ che avrei lasciato ma non sapevo dare forma a cio’ che avrei trovato, a chi avrei trovato, al di la del mare.
Mesi nei quali ho imparato a orientare la zattera, a determinare la traiettoria, a non lasciarla in balia delle tempeste. Perche noi siamo capitani di noi stessi, ed e’ nostra la responsabilita’ di indirizzare la nostra vita. Il capitano che non sa dare la traiettoria alla propria barca ha la responsabilita’ della deriva.
Certo per orientare la propria vita bisogna capire chi si e’ e che cosa sia la vita. Bisogna saper dare valore a cio’ che ci accade o che e’ accaduto vicino a noi. Bisogna dar significato a gesti per molto tempo scontati, a comportamenti ritenuti normali. Bisogna capire cosa significhi guadagnare fiducia, inseguire speranze, mettere in discussione certezze. Bisogna ripartire da capo, rinascere come bambini e reimparare da zero a orientarci in un mondo nuovo. Un mondo in cui l’individuo e’ solo se non impara a interagire e non si sente parte del mondo, parte del progetto. Un mondo in cui gli ostacoli sono tanti e sono li per essere superati, affrontandoli e non facendoci il giro.
Nella difficolta l’Uomo scopre il meglio di se, se ha fame di vita, e trova cio’ che e’ dentro di se ha sete di consapevolezza.
Ventisette mesi fa. Ora, piu di allora, ho chiaro quale sia la strada da percorrere, dove voglia andare e con chi.
Non tutto nel cielo sopra di me e’ rimasto uguale. Tante stelle si sono affievolite. Punti di luce spesso riflessa quando il sole e’ vicino, che si affievoliscono o si spengono del tutto quando la fonte di luce si allontana. Satelliti, che ruotano intorno a centri di gravita’ piu forti di loro. Persone sopravvalutate che avranno nel frattempo gia trovato altri soli.
Soli.
Altre costellazioni invece sono state punti di grande riferimento.
La costellazione famiglia, formata di stelle che muovono sempre coerenti e col passare del tempo diventano piu luminose, coese, cariche di personalita. Riferimenti costanti, vettori di sicurezza, rifugio e radici. E’ la costellazione che mi tiene i piedi e a terra e mi da la sicurezza per andare lontano. Sono individui che formano un insieme sempre piu armonioso. Sono il mio obiettivo, li dove voglio arrivare. Sono stati in molti mesi di pensieri e riflessioni il sostegno piu forte.
La costellazione Amici, densa come non mai nonostante alcune luci si siano spente e altre di molto affievolite. Ma chi c’e stato in questo viaggio, e’ stato vero riferimento, presente. Ognuno a modo suo, ognuno con il suo linguaggio, le sue abitudini, le sue indicazioni, le sue emozioni. Stelle fra di loro magari distanti, ma che formano insieme una trama nel cielo che e’ sostegno nell’incertezza del mare. Stelle pronte a sacrificare il proprio movimento per dare un punto di appoggio in piu, se necessario. In questo periodo veramente si sono rivelate le nature profonde dei legami. La distanza toglie la maschera ai rapporti fra le persone. E scopre cosa ci sia nel profondo degli occhi.
E ho scoperto cosi che le conferme piu emozionanti sono arrivate da chi ha condiviso con me momenti pedalati. Un Angelo Custode (hobbista) di nome Fabrizio, un Capitano (fuso) di nome Ivan, un Maestro (senza tempo ne segretaria) di nome Andrea, un Campione (di coppiana eleganza) di nome Cristiano, un Cuocodellanazionale (esperto di peoci) di nome Massi, un Motivatore (fungaiolo eccelso) di nome Marco, un Mediatore (dal passo costante) di nome Luca, un Polacco (socio moralizzatore) di nome Giovanni. Tutti soli che fanno della sofferenza il senso della gioia, che corrono per dare significato al respirare, inseguendo i profumi del vento.
Andiamo a prenderci cio’ che abbiamo lasciato per strada in questi mesi: il brivido di una discesa, la cima di ogni salita, le chiaccherate a volte rumorose a volte silenziose nelle colline del nostro prosecco.
Andiamo a prenderci il traguardo di Treviso, a cinque anni esatti dal momento in cui nel cielo si e’ illuminata per sempre la stella di nome Gino.
Andiamo a sfrecciare nell’arena di Feltre, ricordandoci di chi al buio si dimentica di respirare.
E poi Feltre ancora, una settimana dopo. Cesenatico e i suoi nove colli. Per arrivare con fame alla Granseola, al suono di maialini e tappi a corona.
I tre minuti e quarantadue secondi piu belli del duemilanove, sono stati e saranno sempre l’essenza del mio pedalare. E le tue parole in chiusura Ivan, sono il piu grande insegnamento che io abbia ricevuto da un Amico fino ad oggi. Il tempo per me si e’ fermato al nostro traguardo di Piazza Maggiore.

Il mio cielo e’ molto luminoso e piu luce c’e’ in cielo e piu sicuro mi sento io.
Del mio cielo posso essere fiero, e’ la mia grande ricchezza.
Non tutte le stelle sono uguali pero’.
Ci sono stelle che danno conforto o riferimento, e stelle che segnano la direzione.
Ci sono stelle che aiutano a leggere i carteggi, e stelle meta stessa del navigare.

Queste seconde stelle hanno la particolarita’ di rendere compiuto o incompiuto un viaggio.
Sono la destinazione a cui tendere, e mai un miraggio.
Sono il motivo stesso del mettersi e rimettersi in moto.
Sono immagine fissa come dopo il click di una foto.
Sono cio’ per cui siamo capitati in questo sconosciuto mare.
Sono cio’ per cui ha un cosi bel significato la parola Amare.
Sono l’essenza del sogno, la realizzazione del Progetto.
Sono soggetto, verbo e complemento oggetto.
Sono il sonno perso e il sorriso sempre ritrovato.
Sono il domani a partire da oggi: buffo, bianco e un po improvvisato.
Sono tante polpette tutte da assaporare.
E’ solo una la Mia Stella, e’ la mia Stella Polare.






(Ho voluto riscrivere per un ultima volta, traducendo nel linguaggio che ho sempre usato nel blog il dove sono e siamo ora in un momento cosi atteso da tutti, e il dove siamo diretti. Grazie a tutte le persone che ho citato non mi sono mai sentito solo nonostante la enorme distanza che ci separava. Perche sono i progetti a dare significato alla vita delle persone e dal momento che ce ne sono sempre stati con ognuno di voi io mi sono sempre sentito vivo e pieno di futuro, anche nei momenti piu duri.
Devo e voglio con tutto il mio cuore dedicare questa ultima pagina al mio fratello maggiore Fabrizio per tutto quello che per me ha fatto, detto, aspettato, sostenuto in questi mesi. Non sai quante volte pedalando da solo in Estonia ho chiuso gli occhi e immaginato il nostro primo traguardo insieme, per mano. Mancano 6 mesi e poi sara’ realta’. In tutti quei momenti, come adesso, ho sentito un brivido e mi e’ scesa una lacrima. Grazie davvero, ti devo molto.
Non me ne voglia la mia splendida sorellina per aver dato del „fratello“ a Fabrizio, sei tu l’unica mia sorellina e spero che il nostro rapporto cresca e diventi una roccia.
Non me ne vogliano le altre persone citate, tutte unicamente importanti.
E non me ne voglia Stella alla quale voglio dedicare qualcosa di piu grande se lei lo vorra’, la mia vita)

mercoledì 16 giugno 2010

L'Amor che move il sole e l'altre stelle

A volte succede che la realtà superi ogni speranza, aspettativa, previsione.
A volte succede che tutta la sofferenza se ne vada per lasciar spazio ad avvenimenti positivi.
A volte succede di sentirsi talmente felici da non riuscire a distinguere i contorni del sentimento.
La vendemmia delle emozioni coltivate nella pazienza e nel silenzio.
La tigre ha ruggito. Una vittoria di squadra, una vittoria di Amici. Poteva esserci qualsiasi altro sport a legarci, non avrebbe cambiato di una virgola la forza del nostro faticare insieme, del nostro vestire la stessa maglia, del dividere gli sforzi dell'impresa.
Fin da quando ho iniziato a pedalare ho immaginato qualcosa che sapevo perfettamente non sarebbe mai avvenuto. Vincere.
Vincere non per me, ma per chi mi sta vicino, le persone per le quali pedalo e dalle quali trovo la forza per farlo. Per il nonno Gino, a cui dedicavo un minuto in ogni sessione di rulli davanti al muro, nelle albe d'inverno. Per Ivan, capitano e condottiero, amico che sa guidare e consigliare. Per Fabrizio, il mio angelo custode.
Per Cristiano che mi ha portato ad amare la bicicletta, e che ora ha traguardi molto piu importanti davanti. Per Marco che mi ha messo in strada e mi ha accompagnato nelle prime pedalate.
Per la famiglia, alla quale si deve tutto.
Vincere per regalare e condividere una gioia. Vincere per rendere partecipi gli altri di un successo.
Succede a volte che si sogni di dividere un momento insieme ad un idolo. Io ne ho avuto solo e sempre uno, l'unico sportivo per il quale ho ammirazione vera, ultimo testimone del ciclismo romantico. Succede che a un ora dalla fine della 24 ore ci si trovi a pedalare a fianco di Gilberto Simoni.
Succede che tutto sia pronto perche Ivan chiuda in modo glorioso la manifestazione che ha organizzato con la passione che solo lui sa mettere, ma che la giuria decida di bloccare i cambi e la sorte voglia che sia io a dover dare le ultime pennellate al quadro. Succede che a 50 all'ora si senta solo il proprio nome urlato da chi è li per vederti e spingerti. Succede che nonostante una fatica tremenda si senta un motore che non si fermerebbe mai, alimentato da una benzina che si chiama Amore.
Succede che nella testa rimbombi la traccia di Fab-Ivan09, i 3min e 42sec piu intensi del 2009.
Succede, per la prima volta nella vita, di avere addosso gli occhi di chi mi è splendidamente di fianco, che mi guardano vestito da libertà. Succede che io non capisca se devo ridere, piangere dalla felicità, respirare, urlare, o semplicemente continuare a pedalare con tutto ciò che ho e per tutto ciò che ho.
E gli ultimi due giri, 5 minuti senza il tempo di far entrare e uscire ossigeno, immaginando una gioia sportiva mai provata.
E le faccie piene di sorrisi di chi è stato parte della festa.
E la tigre sulle spalle, le fotografie tutte per noi, il palco, la Squadra.

Tutto è cominciato il 21 giugno 2009, sul traguardo di Piazza Maggiore.
Da lì i tasselli hanno iniziato a incastrarsi, il disegno iniziava a prendere colore. Nessun incontro, nessun chilometro percorso, nessuna decisione sono stati casuali.
Il partire è stato come allontanarsi da un quadro troppo grande per riuscire a vederlo e a comprenderlo da vicino. Salutare è stato difficile, difficilissimo, ben sapendo ciò che si avrebbe lasciato.
Chi c'era il 12 settembre all'osteria senz'oste sarà sempre con me.
Massi, grazie.
Vedere il nostro video e non riuscire a trattenere le lacrime, anche a due mesi dalla cena e dalla terrina di pomodori da finire (viva i pitussi).
Ritornare a Natale, rivedervi e sapere di dover ripartire per i mesi piu freddi e piu bianchi, non per la neve ma perche senza colore.
Ritrovare due grandi Amici a Stoccolma e capire che è tutto sbagliato e tutto da rifare.
E infine, la luce, la stella. La mia Stella.
Sopra Feltre ce n'erano tante sabato sera.
La mia aveva una macchinetta fotografica in mano. E la mia velocità sfuggente era la voglia di reincrociare il suo sguardo il prima possibile ad ogni passaggio.
Il nonno, Ivan e Massi, Fabrizio e Paola, Cristiano, Marco, mamma e papà, Arianna, gli Amici di Stoccolma.
Ma il disegno ha la cornice solo se ci sei tu.
E la gioia è gioia vera solo se ci sei tu.

Il Progetto Estone finisce qui.
Come ogni cosa, nasce, guarda con curiosità al mondo, patisce, fiorisce a primavera.
Progetto Estone nasce un anno fa, quando la mia mano e quella di Ivan concludevano insieme l'impresa che rimarrà per me l'impresa della vita, con il significato piu vero e profondo.
Progetto Estone nasce dalla voglia di guardare quel quadro da un po piu lontano.
Progetto Estone è la storia di una partenza e di una ricerca.
Progetto Estone è stato un seme gettato nella terra, dal quale è nato il fiore più colorato e profumato.
Come per la 24 ore, cosi per il Mio Fiore, la realtà è andata oltre ad ogni piu rosea speranza.
Oggi, un anno dopo, sono felice. Ho un Progetto non Estone, ho obiettivi tutti rivolti ad un unico traguardo.
Io, in Estonia, rimango. Non so ancora per quanto, ma rimango.
Il mio lavoro, oggi, è qui.
Dopo mesi di difficolta e di ambientamento, ora mi sento piu a mio agio ed è questo il momento di raccogliere i frutti.
Di certo Fabio tornerà a casa. Ora sa qual'è il disegno del quadro;
una luce, fortissima, lo illumina.

« ma già volgeva il mio disìo e il velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
l'Amor che move il sole e l'altre stelle. »

mercoledì 12 maggio 2010

"Buona strada", le parole del ciclista francese

"Dopo essersi infilato la mantellina ed aver assaporato l'ultimo pezzetto di crostata al cioccolato ripartì con le parole del ciclista francese che gli martellavano nella testa.
Come sempre, ad ogni vetta raggiunta, il magone si fa intenso. La salita è una metafora meravigliosa ed ha un unico grande difetto: una volta raggiunta la cima non si può che scendere. Chissà poi se è un difetto, questo. Fa parte della metafora.. quando hai tutto può perdere tutto, ma qui c'è un rafforzativo, quando hai raggiunto la quota massima la devi perdere, non c'è alternativa. Ed è per questo che il tempo soggettivo del salire va assaporato con tutto l'amaro della fatica in bocca, si sta guadagnando l'emozione del traguardo prefissato ben consci che una volta su, alla gioia del salire, subentrerà la tristezza del dover scendere.
Il vento è decisamente frizzante lassu, lo strato di umidità che copre la pianura è come il tappo del contenitore nel quale tutti devono vivere e dentro il quale le regole superano le emozioni. Quando si riesce ad andarci sopra è il cuore a comandare. Ecco perchè c'è tristezza nello scendere, ci si ritorna ad allacciare le cinture della conformità, dell'essere come gli altri si aspettano tu sia.
Eppure è strada anche la discesa. E per la prima volta, grazie alle semplici parole di augurio del ciclista francese, cercò di dare un senso positivo allo scendere, al perdere quota, al ritornare alla partenza.
Forse la chiave di lettura è il prendere coscienza.
Era una giornata speciale per lui, la sentiva tutta sua, si sentiva di poter vivere quelle ore come realmente desiderava di viverle. E la programmava da tempo: le ferie al lavoro, gli occhi sulla cartina già da qualche sera prima, la sensazione di massima libertà già sulla pelle. La scelta della destinazione andava sempre verso una vetta con un significato particolare, ogni anno diverso, ogni anno più intenso.
Il 13 maggio gli ha sempre regalato il sole, il profumo intenso di fiori, le montagne chiare da sembrare ancora più vicine, il cielo ripulito dal vento di primavera”

Questo era ciò che scrivevo l'anno scorso al ritorno dal mio giro di compleanno, sul Monte Cesen.
Da un anno è cambiato proprio tutto: ora la strada non è fatta di asfalto ma, finalmente, di persone, di sentimenti, di passione, di vita.

lunedì 10 maggio 2010

Tempesta e impeto

Un' uragano nella quiete e nell'ordine di un giardino di linearità neoclassica. Lo sconvolgimento delle forme e lo squotimento delle regole. E' la ragione che perde l'equilibrio e scivola nel vuoto, e impara a volare quando ormai è senza fiato e speranza.
Vortice, tempesta, impeto. Non distruttivo, ma creatore di un caos onnicomprensivo, dove ha spazio l'idea, il pensiero, il sentimento, l'imprevedibile. Lo spirito creativo liberato del guscio, che non va limitato. Il tempo dell'ordine è successivo al momento dell'ispirazione, l'idea nasce libera da schemi e trame. Non si può chiudere una porta prima che la casa sia costruita.
Rotti gli schemi, superate le regole e le trame della ragione, trova emancipazione il genio romantico. La rielaborazione dello squotimento, della tempesta va rielaborato, per necessità.
Nel viaggio per i mari del tempo la nostra zattera attraversa gli stadi che l'umanità ha percorso nei secoli e nella storia. Si cercano dapprima le regole semplici, le forme e le rotte lineari. Il classico, il tenue, l'equilibrio rassicurante in cui si trova rifugio, come un porto in un ansa sicura. Subentra poi il pensiero, la ragione, a voler comprendere al di la delle prime facili forme, in uno slancio verso l'illuminazione. E proprio quando sembra tutto chiaro è la ragione ad essere travolta dalla tempesta del sentimento. La ragione che ad un passo dalla soluzione sopravviveva in un inquietante solitudine.
La tempesta rivela che il cielo è uno spazio di proporzioni maggiori alla terra, come in un quadro del preromanticismo tedesco. Nel cielo galleggiano i sentimenti che molto piu dei pensieri determinano i movimenti e le rotte.
Non c'è limite al salire, nel cielo. Si possono disegnare angoli di follia di sorprendente semplicità. Come il roccocò di specchi ed eccessi nel mezzo di un giardino di eleganza e grazia neoclassica. Come il barocco di Bach nel prato ordinato dei 12 toni.
Il razionale diventa sogno, quando è scosso dalla tempesta, se si fa travolgere ad occhi chiusi e si abbandona alla follia creatrice. Il sogno è felicità, la felicità è condivisione. La felicità è un vettore che rimbalza fra le anime e ritorna sempre con l'intensità che riesce a riflettere, creando un turbine di riflessi condizionati. La felicità è sospesa per il tempo in cui è in viaggio e si sprigiona nell'istante dell'impatto, nel momento in cui il riflesso arriva a destinazione. Quando le due anime sono vicine, il tempo del viaggio è minore e gli attimi di felicità piu ravvicinati e intensi. Quando colpisce, ad occhi chiusi si può assaporare il momento di perfezione assoluta, sospirarlo, sfuggente. Quando riparte si aspetta un nuovo zenith dei sensi.
Lo sturm und drang non si può descrivere, è un momento di sconvoglimento, una centrifuga destabilizzante, un volo in caduta libera che incontra la sua velocità limite e trova nuovo equilibrio.
Lo sturm und drang è un violino che vibra e si incendia sulle note del desiderio.
Lo sturm und drang è il bianco adagiato sul bianco, che riassume in se e comprende ogni sfumatora e tono di colore.
Lo sturm und drang è rock a 12 corde sotto il monoptero di orgoglio e pregiudizio.
Lo sturm und drang è l'imprevisto, il tempo regalato, ogni emozione aggiuta.
E' una buffa baruffa a uova e farina, è un frullato di sorpresa, dentifricio e lenzuola.
E' ogni altro gradino salito insieme nella scala a chiocciola della vita.
E' il 23 marzo di Botticelli, il 28 marzo di Klimt, è l'8 maggio di Van Gogh

venerdì 23 aprile 2010

Riga, 2

Ancora a Riga, ancora aeroporto, quattordici giorni dopo.
Questo posto è una stazione ultimamente molto frequentata nelle mie transumanze trans-europee.
Questa volta ho cambiato caffè, i divanetti di questo sono proprio comodi, perfetti per aspettare l'imbarco per Venezia, fra un paio d'ore.
Ho davanti a me sempre grandi vetrate, ma oggi non lacrimano di pioggia, sono asciutte ed entra tanta luce.
Durante il volo da Tallinn ho addocchiato la cartina nel libretto di Airbaltic..l'avrò guardata 10 volte, durante i miei viaggi, ma ogni volta scopro qualcosa di nuovo. Non avevo mai notato, per esempio che il Kazakistan fosse così esteso e non avevo neppure una mezza idea di dove fosse Astana, la capitale. Sulle cartine geografiche il mio essere viaggiatore ha sempre incontrato la fantasia e la curiosità, ciò valeva da bambino, ciò vale adesso. Ricordo benissimo il mio primo mappamondo, con la luce che lo illuminava dall'interno. Lo giravo e rigiravo, già mi ero accorto di quanto piccola fosse l'Italia e di quanto spazio ci fosse intorno da venere.
Ancora nella cartina di Airbaltic.. un flash.. il lago Bajkal..un ricordo vivissimo riaffiora, la voce della maestra Angela che ci legge “primavera sul Bajkal”, terza o quarta elementare. A me piaceva tanto quel momento, la sua intonazione dolce ed espressiva, il mio chiudere gli occhi e immaginare luoghi lontani. Il lago, il bosco, taiga e tundra, il cielo del grande nord. Chissà, come saranno..mi chiedevo.
Ed eccomici dentro, ambienti e sensazioni oggi quotidiane sono proprio ciò che allora sentivo lontane e affascinanti. Oggi, quando vado in bici lungo il lago Manniku, mi sembra di essere in un posto che conosco da sempre, forse proprio perchè l'ho immaginato da bambino, lo sognavo mentre la maestra leggeva. Il lago Manniku è il mio Bajkal, dove la primavera è il ghiaccio che si scioglie e mostra alle nuvole i prati, dove i venti soffiano e increspano lo specchio d'acqua, dove le conifere che lo circondano ritornano verdi e accolgono gli uccelli e il loro canto.
Ciò che era lontano oggi è vicino.
Che cos'è l'amor, si chiede Vinicio Capossela.. “è un posto d'oltremare che è lontano solo prima d'arrivare”. Ancora il mare, ancora il navigare, ancora la nostra zattera.
Lontano e vicino, vicino e lontano.
Da piccolo, quando i riferimenti geografici erano la chiesa del paese, la farmacia e la scuola, mi chiedevo da che parte dovessi girare, una volta uscito di casa, per raggiungere il Bajkal. Lontano era già andare dalla nonna, 20 chilometri. Era impresa andarci in bicicletta, come qualla volta col papà, di sabato pomeriggio, a 8 o 9 anni.
Oggi non vedo posti lontani. I posti lontani non esistono, come non esistono le lingue difficili.
La necessità rende le cose vicine o lontane. O forse, il vero metro “adulto” per misurare le distanze, sono i sentimenti. E' vicino ciò a cui siamo legati, indipendentemente dalla distanza. E' lontanissimo ciò che non ci è familiare, ciò che ci rende insicuri.
Lo sto imparando ogni giorno, quanto un sentimento forte possa abbattere e avvicinare.
Già lo sapevano gli antichi navigatori, che nel buio della notte, in mezzo al mare, si facevano guidare e trovavano conforto nelle stelle, cosi lontane e rassicuranti.

lunedì 19 aprile 2010

progettoestone: Controvento

progettoestone: Controvento
http://www.youtube.com/watch?v=BCm3I3qahkQ&feature=related

Controvento

E' aprile, è il mese dei venti. Queste entità misteriose che governano i climi, che fan muovere le nuvole, che puliscono il cielo e liberano il sole dalla prigione dei cumuli. Invisibili, mutevoli, favorevoli o sfavorevoli.
Sabato mattina, sulla strada verso Muraste, a cavallo della mia mtb ce l'avevo proprio in faccia. Ruote grosse, tappate, rettilineo di una decina di chilometri in leggera salita e folate a 60km/h contro.
Andare controvento è una capacità che si acquisisce con gli anni, con le esperienze. Significa accettare che un'entità invisibile determini in modo consistente ciò che si sta facendo. Il vento non si vede ma c'è, e l'indole umana cerca di comportarsi come se questa forza non ci fosse. E invece va accettata.
Pedalando, agli inizi, il vento è un nemico. Lo si soffre molto, non si sa gestirlo. Quand'è a favore non lo si ringrazia, quand'è contro lo si maledice. Ci sembra di non riuscire ad avanzare, ma è solo perche non accettiamo che ci sia. Non accettiamo che qualcosa, perlopiù senza una faccia, si metta fra noi e la strada da percorrere. Il vento innervosisce, disturba, frena, sbilancia. Ce ne ricordiamo solo quand'è contrario.
Una volta capito che le forze in gioco sono anche invisibili il vento diventa un attore della commedia, non un nemico. E ci si stupisce a quel punto di quanto gratificante sia giocarci insieme, di quanta forza dentro abbiamo, di come sia possibile conviverci con il sorriso.
Avanzare sereni è accettare. Accettare che ci siano dei rallentamenti, accettare di dover fare piu fatica della prevista, accettare qualche folata che ci manda fuori rotta, pronti a ritornare in direzione.
Come un albero ci si deve adattare. Ciò che è rigido si spezza, il malleabile prende la forma più adatta e resiste, si reinventa.
Fa tutto parte del sottile equilibrio fra il dentro e il fuori che va continuamente bilanciato.
Ma per accettare e adattarsi dev'essere ben chiara la meta da raggiungere, cosicche gli sforzi non siano vani e il vento non li dissolva.
Seguire la luce, l'unica cosa che il vento non sa spostare.