venerdì 23 aprile 2010

Riga, 2

Ancora a Riga, ancora aeroporto, quattordici giorni dopo.
Questo posto è una stazione ultimamente molto frequentata nelle mie transumanze trans-europee.
Questa volta ho cambiato caffè, i divanetti di questo sono proprio comodi, perfetti per aspettare l'imbarco per Venezia, fra un paio d'ore.
Ho davanti a me sempre grandi vetrate, ma oggi non lacrimano di pioggia, sono asciutte ed entra tanta luce.
Durante il volo da Tallinn ho addocchiato la cartina nel libretto di Airbaltic..l'avrò guardata 10 volte, durante i miei viaggi, ma ogni volta scopro qualcosa di nuovo. Non avevo mai notato, per esempio che il Kazakistan fosse così esteso e non avevo neppure una mezza idea di dove fosse Astana, la capitale. Sulle cartine geografiche il mio essere viaggiatore ha sempre incontrato la fantasia e la curiosità, ciò valeva da bambino, ciò vale adesso. Ricordo benissimo il mio primo mappamondo, con la luce che lo illuminava dall'interno. Lo giravo e rigiravo, già mi ero accorto di quanto piccola fosse l'Italia e di quanto spazio ci fosse intorno da venere.
Ancora nella cartina di Airbaltic.. un flash.. il lago Bajkal..un ricordo vivissimo riaffiora, la voce della maestra Angela che ci legge “primavera sul Bajkal”, terza o quarta elementare. A me piaceva tanto quel momento, la sua intonazione dolce ed espressiva, il mio chiudere gli occhi e immaginare luoghi lontani. Il lago, il bosco, taiga e tundra, il cielo del grande nord. Chissà, come saranno..mi chiedevo.
Ed eccomici dentro, ambienti e sensazioni oggi quotidiane sono proprio ciò che allora sentivo lontane e affascinanti. Oggi, quando vado in bici lungo il lago Manniku, mi sembra di essere in un posto che conosco da sempre, forse proprio perchè l'ho immaginato da bambino, lo sognavo mentre la maestra leggeva. Il lago Manniku è il mio Bajkal, dove la primavera è il ghiaccio che si scioglie e mostra alle nuvole i prati, dove i venti soffiano e increspano lo specchio d'acqua, dove le conifere che lo circondano ritornano verdi e accolgono gli uccelli e il loro canto.
Ciò che era lontano oggi è vicino.
Che cos'è l'amor, si chiede Vinicio Capossela.. “è un posto d'oltremare che è lontano solo prima d'arrivare”. Ancora il mare, ancora il navigare, ancora la nostra zattera.
Lontano e vicino, vicino e lontano.
Da piccolo, quando i riferimenti geografici erano la chiesa del paese, la farmacia e la scuola, mi chiedevo da che parte dovessi girare, una volta uscito di casa, per raggiungere il Bajkal. Lontano era già andare dalla nonna, 20 chilometri. Era impresa andarci in bicicletta, come qualla volta col papà, di sabato pomeriggio, a 8 o 9 anni.
Oggi non vedo posti lontani. I posti lontani non esistono, come non esistono le lingue difficili.
La necessità rende le cose vicine o lontane. O forse, il vero metro “adulto” per misurare le distanze, sono i sentimenti. E' vicino ciò a cui siamo legati, indipendentemente dalla distanza. E' lontanissimo ciò che non ci è familiare, ciò che ci rende insicuri.
Lo sto imparando ogni giorno, quanto un sentimento forte possa abbattere e avvicinare.
Già lo sapevano gli antichi navigatori, che nel buio della notte, in mezzo al mare, si facevano guidare e trovavano conforto nelle stelle, cosi lontane e rassicuranti.

lunedì 19 aprile 2010

progettoestone: Controvento

progettoestone: Controvento
http://www.youtube.com/watch?v=BCm3I3qahkQ&feature=related

Controvento

E' aprile, è il mese dei venti. Queste entità misteriose che governano i climi, che fan muovere le nuvole, che puliscono il cielo e liberano il sole dalla prigione dei cumuli. Invisibili, mutevoli, favorevoli o sfavorevoli.
Sabato mattina, sulla strada verso Muraste, a cavallo della mia mtb ce l'avevo proprio in faccia. Ruote grosse, tappate, rettilineo di una decina di chilometri in leggera salita e folate a 60km/h contro.
Andare controvento è una capacità che si acquisisce con gli anni, con le esperienze. Significa accettare che un'entità invisibile determini in modo consistente ciò che si sta facendo. Il vento non si vede ma c'è, e l'indole umana cerca di comportarsi come se questa forza non ci fosse. E invece va accettata.
Pedalando, agli inizi, il vento è un nemico. Lo si soffre molto, non si sa gestirlo. Quand'è a favore non lo si ringrazia, quand'è contro lo si maledice. Ci sembra di non riuscire ad avanzare, ma è solo perche non accettiamo che ci sia. Non accettiamo che qualcosa, perlopiù senza una faccia, si metta fra noi e la strada da percorrere. Il vento innervosisce, disturba, frena, sbilancia. Ce ne ricordiamo solo quand'è contrario.
Una volta capito che le forze in gioco sono anche invisibili il vento diventa un attore della commedia, non un nemico. E ci si stupisce a quel punto di quanto gratificante sia giocarci insieme, di quanta forza dentro abbiamo, di come sia possibile conviverci con il sorriso.
Avanzare sereni è accettare. Accettare che ci siano dei rallentamenti, accettare di dover fare piu fatica della prevista, accettare qualche folata che ci manda fuori rotta, pronti a ritornare in direzione.
Come un albero ci si deve adattare. Ciò che è rigido si spezza, il malleabile prende la forma più adatta e resiste, si reinventa.
Fa tutto parte del sottile equilibrio fra il dentro e il fuori che va continuamente bilanciato.
Ma per accettare e adattarsi dev'essere ben chiara la meta da raggiungere, cosicche gli sforzi non siano vani e il vento non li dissolva.
Seguire la luce, l'unica cosa che il vento non sa spostare.

venerdì 9 aprile 2010

Riga, 22.52

Aeroporto deserto, una musichetta da lounge bar in sottofondo, l'atmosfera di un locale che sta per chiudere. Fuori piove, le gocce scivolano nelle grandi vetrate affacciate sulla pista. Mangio qualcosa, l'occhio cade sullo scontrino, il numero 444 della giornata. Numero pari, sarà un segno, a me favorevole.

Fra un ora ho l'aereo che mi porterà per la quinta volta a Tallinn. Atterrare lì è una sensazione che conosco bene, ormai familiare, consueta.

Le gocce di pioggia continuano a cadere, sottili, e formano dei piccoli cerchi quando si scontrano con le pozzanghere sull'asfalto nero. E' così ovunque, a tutte le latitudini. La natura segue le stesse regole in ogni angolo di pianeta.

Ho iniziato a leggere “il cammino di santiago”, ancora Coelho. Un autore che fino ad un anno fa non avrei sopportato, visionario e surrealista com'è. Ma è grazie a lui che ho iniziato ad osservare i segni della natura con occhio diverso. Ogni goccia nella pozzanghera è parte di un disegno piu grande, l'insignificante elemento che completa l'insieme in modo determinante.

La mia concezione razionalista finalmente ha trovato il suo limite, si è consumata nell'essenza e nell'indeterminatezza di risposte troppo precise, senza poesia.

Ora vedo poesia ovunque.

Nella goccia di pioggia nella pozzanghera, nella rottura di un pedale, nello sguardo di uno sconosciuto. E quando si apre il cassetto della poesia il tutto diventa infinito.

Due frasi nelle prime pagine del “cammino” mi hanno turbato, colpito.

Nella prima ritrovo perfettamente i concetti che proprio qui scrivevo solo un mese fa.

E' piu sicura l'imbarcazione nel porto, ma non è per questo che le barche sono state costruite”.

Navigare in mare aperto, guardare il mondo con curiosità.

La seconda è quanto di piu vicino ci sia al pensiero di Ivan che chiude il nostro video '09. “

Lo straordinario sta nel cammino delle persone comuni”.

Sembrano in antitesi le due frasi, ma non lo sono. Navigare per capire che lo straordinario ci è di fianco e non davanti. Ogni nuovo porto è un passaggio, ogni onda uno strumento, ogni tempesta una prova. Abbiamo già tutto ciò che potevamo sognare, appunto.

Si, ora me ne accorgo.

Ora capisco i perchè dei turbamenti e delle sofferenze.

Ora, guardando alla natura per riconoscerne i segni e la poesia, vedo che i puntini disordinati della mia vita, se uniti danno un disegno bellissimo. E sento tanto calore di fianco a me, una luce che illumina il mio navigare. Non mi servono bussola o carteggi, guardo alla luce, so che è li per me.

E sento che ritornare a Tallinn, per la quinta volta ha un sapore del tutto nuovo. Finalmente ha un perchè non economico. Finalmente, se guardo indietro, posso dire che ogni scelta è stata più che giusta. Molte istintive, ma l'istinto sa da che parte ci si salva.

Sembrava tutto senza senso, finche il senso non mi è apparso di fronte, improvvisamente.

Kapelmuur, il prima e il dopo.

Ancora la bicicletta a traghettarmi al di la del fiume. Sotto un diluvio il senso del passaggio in un sabato di Pasqua in strade piene di fango e pietre. A far vibrare l'anima per ricordarmi che è piu grande del corpo, che molto spesso non riesce a contenerla.

Ancora più indietro, un giorno di fine agosto, l'incontro con il mio angelo custode che di nome fa Fabrizio e mi insegna ogni giorno ad essere generoso e semplice. Ancora grazie alla bicicletta, senza la quale oggi non scriverei queste parole.

Mi guardo indietro: vedo tanta strada fatta, tanto sudore nelle salite assolate d'estate, sforzi a volte insopportabili. E vedo gli incontri che grazie a tanto peregrinare in sella mi hanno cambiato. Vedo Ivan, vedo Cristiano, vedo Marco, vedo Fabrizio. Vedo Andrea. Ogni incontro messo lì per dare una pennellata al quadro, in attesa della cornice.

Mi giro indietro e vedo un lavoro prestigioso ma sterile e la decisione di volare in riva al Baltico.

La voglia di condividere le giornate attraverso un blog che via via è diventato cronaca interiore piu che cronaca esterna.

Mi giro indietro e vedo il fine settimana nel quale le mie certezze hanno toccato il minimo, nel gelo assolato di Stoccolma, con due amici veri. Ma dai minimi si rimbalza, me lo ha insegnato la finanza, che prima che soldi è psicologia, paure ed euforia.

E proprio nel momento in cui Coelho mi insegnava che ogni partenza ha come meta un luogo diverso dalla destinazione, ho scoperto anch'io che il mio grande tesoro mi aspettava molto vicino, in un luogo conosciuto.

E allora unendo tutti i puntini, tutti gli incontri, tutte le decisioni prese, tutti i patimenti, tutte le strade percorse.. il disegno si fa nitido.

E illumina il mio navigare.

Talmente nitido che da un senso, compiuto, a questo blog. Talmente compiuto da farmi riflettere sul continuare o meno a scrivere. Sembra un cerchio chiuso. Sembra perfetto così, senza nulla di più.

Ma forse le pagine più belle, ora che la luce c'è e indica chiaramente la via, saranno ancora da scrivere.

Ed è con questo spirito, con questo nuovo ottimismo, con questa rinnovata forza che si continua.

Nel blog e nella navigazione, senza bussola e senza carteggio.